Lo Studio Deias risponde

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Il disconoscimento della qualifica di ente non commerciale viene effettuato sulla base dell’art. 149 del Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR), ai sensi del quale: “Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta. Ai fini della qualificazione commerciale dell’ente si tiene conto anche dei seguenti parametri: a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività; b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali; c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative; d) prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti spese”. Tali parametri non costituiscono delle presunzioni legali, bensì dei semplici indizi da valutare in concorso con le caratteristiche complessive dell’ente. Nonostante ciò, l’Agenzia delle Entrate li applica rigidamente, non tenendo adeguatamente conto di quanto previsto dalla Circolare n. 124/E del 12 maggio 1998 (datata ma pur sempre di riferimento in materia). In particolare, si legge nella Circolare: “La qualifica di ente non commerciale, impressa dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto, che consente all’ente di fruire della disciplina degli enti non commerciali su base dichiarativa, va verificata … prendendo in esame l’attività effettivamente svolta”. E ancora: gli indici di commercialità “non comportano automaticamente la perdita di qualifica di ente non commerciale” e devono essere considerati insieme ad “altri elementi di giudizio”. “… sarà necessario, in ogni caso, un giudizio complesso, che tenga conto anche di ulteriori elementi, finalizzato a verificare che l’ente abbia effettivamente svolto per l’intero periodo d’imposta prevalentemente attività commerciale”. “Come risulta espressamente dalla relazione illustrativa del decreto legislativo in esame, i parametri indicati … costituiscono indizi valutabili in concorso con altri elementi significativi, ivi comprese le caratteristiche complessive dell’ente”. L’art. 149 del TUIR non si applica però alle Onlus. Anche se l’esclusione non è espressamente prevista, la si deduce indirettamente dal fatto che le attività istituzionali sono decommercializzate e quelle connesse non possono essere prevalenti a quelle istituzionali per espressa previsione del decreto legislativo n. 460/1997.

La detrazione dell’imposta pagata in sede di acquisto è consentita relativamente ai soli acquisti inerenti l’attività commerciale ed a condizione che l’ente tenga una contabilità separata tra attività istituzionale ed attività commerciale. Per i beni ed i servizi utilizzati promiscuamente – tra attività commerciale e non – occorre trovare un parametro prudenziale, il più possibile oggettivo, che permetta una detrazione dell’imposta limitatamente alla parte effettivamente inerente l’attività commerciale. Si può valutare semmai nel caso in esame l’utilità ed opportunità di optare per il regime speciale di cui alla Legge n. 398/91 che permette un abbattimento forfetario (in genere del 50%) dell’Iva a debito, indipendentemente dall’effettiva Iva pagata in sede di acquisto.

Dal tenore del quesito e dalle informazioni fornite sembra di capire che l’associazione non svolge alcuna attività di natura commerciale e quindi fiscalmente rilevante. Se cosi è, è sufficiente tenere un semplice registro di entrate ed uscite nel quale riepilogare le movimentazioni finanziarie e redigere un ‘rendiconto’ annuale riepilogativo delle stesse da sottoporre all’approvazione dell’assemblea degli associati. Sempre dalla natura delle entrate non sembra che scattino i presupposti per alcuna dichiarazione fiscale.

La Tares, in vigore a partire dall’1 gennaio 2013, è dovuta da chiunque possieda, occupi o detenga, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani e deve essere versata al Comune nel cui territorio sono situati gli stessi (articolo 14 del Dl 201/2011). La misura del tributo è basata sulla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti rapportati alla superficie dell’immobile di riferimento, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolta. Il Comune può prevedere riduzioni tariffarie, nella misura massima del 30%, qualora l’immobile sia tenuto a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo (Linee guida del ministero dell’Economia e delle Finanze).